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Disco invertebrale

Il disco intervertebrale è un vero e proprio ammortizzatore naturale, interposto tra una vertebra e l'altra con lo scopo di distribuire sulla più ampia superficie possibile le pressioni sviluppate durante i movimenti, attenuandone l’energia (esempio mentre si salta, si corre o si subiscono scossoni sul sedile dell'auto). Ma le funzioni del disco intervertebrale danno anche alle vertebre sovrapposte una certa motilità per cui la colonna può, entro certi limiti, curvarsi in tutti i sensi ed eseguire modici movimenti di rotazione; se non esistessero i dischi intervertebrali, le vertebre avrebbero, per la loro un'escursione molto più limitata.

Il disco intervertebrale è una struttura fibrocartilaginea flessibile; ha la forma di una lente biconvessa (come una lente d’ingrandimento) che ben si adatta a quella dei corpi vertebrali a cui è interposto. In ciascun disco si possono riconoscere due parti:

il NUCLEO POLPOSO: una piccola massa centrale, gelatinosa, giallognola e costituita da una sostanza fortemente igroscopica (trattiene acqua); ha lo scopo di rispondere alle sollecitazioni delle forze agenti sulla colonna e di distribuirle in modo uniforme all'anello fibroso.

l'ANELLO FIBROSO: solida e concentrica impalcatura periferica, le cui fibre sono disposte in regolari strati concentri che si incrociano tra loro. Ha lo scopo di contenere e proteggere il nucleo centrale e conferisce al disco grande resistenza alla compressione.

  

La funzione dei dischi è particolarmente importante nel tratto lombare, dove le vertebre sono maggiormente sollecitate dal carico sovrastante. Per questo motivo, tra L1 ed L5, i dischi intervertebrali raggiungono uno spessore superiore e proporzionalmente maggiore rispetto ai corpi vertebrali. Tale rapporto, pari ad 1/3, scende ad 1/4 nelle vertebre cervicali e ad 1/7 in quelle dorsali, anche per questo dotate di minore mobilità.

Oltre a variare leggermente nella forma in base alla sede della colonna, i dischi intervertebrali sono normalmente più spessi nella parte anteriore (diretta verso l'addome); sono inoltre assenti tra le vertebre sacrali e coccigee, nonché tra le prime due cervicali.

I dischi intervertebrali sono collegati, anteriormente e posteriormente lungo l'intera colonna, da legamenti fibrosi che ne costituiscono una potente struttura di rinforzo.

I dischi intervertebrali adulti non possiedono un'irrorazione sanguigna; sottili vasi sanguigni entrano ed escono dal disco nei primi anni di vita, ma tendono poi a scomparire verso i 20-30 anni. Di conseguenza, il disco intervertebrale trae il proprio nutrimento essenzialmente per osmosi dai minuscoli capillari che lo circondano; allo stesso modo elimina le sostanze di rifiuto. Questo meccanismo viene attivato dai cambi di pressione all'interno del disco, generatisi durante i movimenti della colonna (importanza della ginnastica e della Tecarterapia usata in modalità microcircolo/atermica per favorire gli scambi metabolici ed il drenaggio dei prodotti dell’infiammazione)



Degenerazione dei dischi intervertebrali

Quando si applica una pressione sul disco intervertebrale si ottiene una fuoriuscita dei liquidi di nutrimento ed una riduzione del suo spessore. Viceversa, quando si toglie pressione (ad esempio durante il sonno od utilizzando una panca ad inversione) avviene un richiamo di liquidi verso l'interno ed un ripristino della sua struttura. E' noto, infatti, che la statura al risveglio è circa due centimetri superiore rispetto a quella misurata al termine di una giornata lavorativa, dal momento che ogni disco intervertebrale subisce variazioni quotidiane pari al 10% del suo spessore.

In persone giovani, i vari dischi costituiscono il 25% dell'altezza del rachide, ma questa percentuale è destinata a scendere con l'invecchiamento. L'avanzare dell'età, infatti, porta con sé una progressiva ed irreversibile perdita di acqua e funzionalità del disco intervertebrale, che si trasforma in un "ammortizzatore scarico".

Mentre il contenuto idrico nei dischi delle persone giovani si attesta intorno all'80-85%, nei soggetti anziani tale percentuale scende al di sotto del 70%.

Studiando il terzo disco lombare si è visto che la pressione gravante su di esso dipende molto dalla posizione assunta: se consideriamo 100% il carico in posizione eretta, lo stesso carico diminuisce o cresce moltissimo nelle posizioni qui di fianco raffigurate.

Se le sollecitazioni a cui va incontro il disco intervertebrale sono particolarmente intense, la resistenza dell’anello fibroso (vero e proprio cinto di contenzione intorno al nucleo polposo) può essere vinta e produrre uno spostamento del nucleo dalla sua posizione centrale. Lo stesso risultato può essere la conseguenza di una cronica esposizione a vibrazioni ed a sollecitazioni usuranti, che abbassano notevolmente la soglia di sopportazione dell'anello. Si parla, in questi casi, di ernia del disco, che può verificarsi in diversi gradi e tipi, a seconda delle modalità di spostamento del nucleo.

Nei casi più gravi il nucleo polposo si separa completamente dal disco intervertebrale, come fosse un "dentifricio schiacciato". A seconda della sua posizione, l’ernia può provocare dolori o sintomi di paralisi nella schiena, che talvolta si estendono anche a gambe e piedi e/o a braccia e mani. Tali sintomi sono il risultato di una compressione diretta del disco sulle radici nervose adiacenti e della loro irritazione per rilascio di agenti infiammatori derivanti dalla degradazione delle proteine discali.

Il punto più debole del disco si trova nella parte posteriore del nucleo fibroso, vicino al forame intervertebrale, ed è per questo motivo che la maggior parte delle ernie avviene a questo livello.




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