La cuffia dei rotatori: Riabilitazione dell'atleta



Mai come in questo caso la prevenzione ha una importanza fondamentale: mantenere un buon tono della muscolatura con il passare degli anni aiuta a rendere elastici ed efficienti muscoli e tendini migliorando la coordinazione dei movimenti. Al contrario, con il disuso, queste importanti strutture anatomiche diventeranno più deboli, più rigide e, di conseguenza, più suscettibili a lesioni (è un ovvio che si rompa più facilmente un rigido vetro che un elastico pezzo di gomma)

1) Se la lesione della cuffia è significativa: e l'atleta è molto giovane solitamente viene consigliato l'intervento chirurgico per evitare il rischio di fratture, lussazioni ed artrosi. Nella maggioranza dei casi questo intervento viene eseguito in artroscopia grazie all'ausilio delle fibre ottiche. L'efficacia di tale intervento è sovrapponibile a quella della tradizionale tecnica a cielo aperto, la quale abbassa ulteriormente il rischio di recidive ma è piuttosto invasiva.

L'intervento chirurgico in una buona parte dei casi (75-90%) diminuisce considerevolmente il dolore fino alla sua completa scomparsa. Meno prevedibile è invece il recupero funzionale del gesto atletico, che risulta completo solo in una modesta percentuale di casi (40-50%), anche se le moderne metodiche di mobilizzazione computerizzata e di propriocezione specifica stanno rapidamente migliorando queste statistiche.

Il trattamento conservativo, eventualmente tentato prima di passare all’intervento chirurgico, prevede una iniziale la somministrazione di farmaci antinfiammatori per ridurre dolore ed infiammazione. Lo specialista potrà anche somministrare localmente del cortisone mediante infiltrazioni, specie se il dolore è particolarmente intenso, ma senza mai esagerare nelle ripetizioni. Quando i sintomi si riducono significativamente si passa ad esercizi di rinforzo ed allungamento della muscolatura.

La guarigione spontanea (cioè senza aiuto medico) di una rottura parziale è piuttosto improbabile, considerata la complessità anatomica della regione e la scarsa circolazione sanguigna dei tendini.

Mentre, nel caso sia uno specialista a gestire la situazione, il periodo di guarigione varia in relazione al tipo e all'entità della lesione ed in base al trattamento scelto (conservativo o chirurgico). In genere i tempi di recupero sono piuttosto lunghi: dopo un periodo di immobilizzazione iniziale (6-12 giorni indossando un tutore che protegga l'articolazione) vengono infatti iniziati esercizi di micromobilizzazione passiva (pompage).

Solo dopo quattro o sei settimane possono iniziare esercizi attivi di intensità crescente nel tempo che dopo 4-6 mesi dalla lesione restituiranno alla spalla buona parte della forza, ma soprattutto dell’equilibrio funzionale alla base dell’armonioso e proficuo svolgersi del gesto atletico che aveva precedentemente. Particolarmente utili risultano esercizi di mobilità da svolgere inizialmente a corpo libero poi contro resistenza elastica o, meglio ancora, in acqua (idrokinesiterapia).

2) Se si tratta di una semplice infiammazione tendinea, è bene ridurre significativamente il periodo di immobilizzazione per evitare la perdita di elasticità e la eventuale calcificazione tendinea. Se quest'ultima è già presente ed è all'origine del dolore, il medico potrà intervenire per rimuovere chirurgicamente i depositi di calcio, anche se oggi la fisiatria più avanzata tende ad evitare un intervento chirurgico (sempre traumatizzante) ed a preferire applicazioni di ultrasuoni focalizzati o di onde d’urto, in grado di favorire il riassorbimento delle calcificazioni.

Anche in questo caso andranno iniziati esercizi di mobilità della spalla di intensità via via crescente nel tempo. L'attività agonistica potrà essere ripresa quando la forza dell'arto lesionato e riabilitato raggiungerà l’80% di quella dell'arto controlaterale.



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